“Nootropo” è un farmaco che dovrebbe aumentare le funzioni cognitive, in primo luogo pensiero, ragionamento e memoria. Queste beneficiano anche di un aumento dell’attenzione e della concentrazione ed un nootropo dovrebbe aumentare anche queste.
Tutte le funzioni cognitive avvengono nella corteccia cerebrale, per cui viene facile pensare che un nootropo dovrebbe aumentare l’attività della corteccia cerebrale. Non è così. Le funzioni cerebrali consistono nell’attivazione di certi neuroni e nell’inibizione di altri: sono le combinazioni di attivazioni-e-inibizioni a portare informazione, ed i neuroni “spenti” (inibiti) hanno tanta importanza quanto quelli “accesi”.
Nella corteccia cerebrale ciò che determina le combinazioni di attivazioni-e-inattivazioni sono le connessioni fra i neuroni ossia le sinapsi. Una connessione da un dato neurone ad un altro neurone ha la sua importanza ed il suo significato in quanto connette quei e proprio quei neuroni, e in quanto li connette con una certa forza, positiva (eccitatrice) o negativa (inibitrice). Ogni connessione funziona emettendo una sostanza (“neurotrasmettitore”) che si lega a un opportuno “recettore” presente sul neurone successivo. Il legame attiva il recettore e questo produce sul neurone un effetto eccitatore o inibitore. I neuroni della corteccia cerebrale comunicano fra loro tramite due soli neurotrasmettitori: l’acido glutammico come eccitatore, e l’acido gamma-amino-butirrico (GABA) come inibitore.
Già il fatto che tutta la corteccia funzioni con appena due neurotrasmettitori ci dice che la sua complessità non è nella biochimica, ma nella disposizione e forza delle connessioni, ossia quali neuroni sono connessi con quali, e con quanta forza eccitatrice o inibitrice. Questo taglia le gambe alla possibilità d’intervenire neurofarmacologicamente in qualsiasi modo che non sia grossolano: un farmaco agisce contemporaneamente su tutti i neuroni della corteccia che abbiano recettori per esso. Possiamo quindi solo generare un’attivazione o un’inibizione diffusa, non specifica, con tanti saluti alle differenze d’attivazione fra singoli neuroni su cui invece le funzioni cognitive si basano. Di fatto in neuropsicofarmacologia si utilizza solo l’azione inibitoria, con sostanze che attivano i recettori del GABA e per questo dette gabaergiche. L’esempio più diffuso è quello delle benzodiazepine, farmaci con ottimo effetto antiansia e sedativo. Siamo ovviamente sul versante opposto rispetto a un farmaco nootropo, e infatti gli effetti collaterali delle benzodiazepine includono confusione mentale, difficoltà di concentrazione e disturbi di memoria; effetti che negli anziani le rendono poco adatte anche come antiansia.
Ma allora, l’idea dei farmaci nootropi su cosa sopravvive? Vi sono ancora due possibilità.
La prima possibilità, meno potente, è quella di farmaci che, non sappiamo come e perché, empiricamente si sono mostrati di qualche aiuto in casi di compromissione delle funzioni cognitive (e di problemi nella trasmissione nervosa anche periferica). Due esempi di questi sono il piracetam e la L-acetilcarnitina. Nessuno dei due agisce legandosi ai recettori dei neurotrasmettitori. Il piracetam fa cose abbastanza misteriose con la membrana dei neuroni, cose che in qualche modo ignoto sembrano aiutare il funzionamento fisiologico dei neuroni quando questo è compromesso. La L-acetilcarnitina è una sostanza già normalmente presente nei neuroni, ove interviene in vari processi metabolici. Se i neuroni sono danneggiati o sotto danneggiamento non è assurdo pensare che possano avere un aumentato fabbisogno di questa come di altre sostanze, e che fornirgliela anche dall’esterno possa aiutarli. Sia il piracetam che la L-acetilcarnitina sono risultati di qualche utilità in certi stati patologici; non vi sono dati che facciano pensare che possano migliorare funzioni già funzionanti (scusandomi per il bisticcio di parole) in modo normale. Un eventuale loro effetto pro-cognitivo non è riconosciuto ufficialmente e le indicazioni riconosciute sono tutt’altre. Almeno, la loro tossicità è molto bassa, per la L-acetilcarnitina praticamente nulla.
La seconda possibilità, più potente e più pericolosa, s’impernia sul fatto che la corteccia cerebrale, anche se al suo interno funziona tramite connessioni non manovrabili farmacologicamente, tuttavia è potentemente influenzata dalle strutture nervose sotto di essa (strutture sottocorticali), le quali la influenzano invece attraverso una quantità di vie che utilizzano neurotrasmettitori diversi con effetti diversi. È interessante notare che nel sistema nervoso periferico vi sono solo due neurotrasmettitori, noradrenalina e acetilcolina; nella corteccia cerebrale altrettanto, acido glutammico e GABA; invece fra periferia e corteccia vi è una cornucopia di sostanze diverse (dopamina, serotonina, noradrenalina, acetilcolina, istamina, acido aspartico, glicina, melatonina, endorfine, e decine d’altre, oltre ad altre sospettate e non ancora identificate). Il motivo di ciò è oggetto d’ipotesi fuori dallo scopo di questa risposta. È possibile agire farmacologicamente su una o solo alcune di queste vie e sostanze ed ottenere così effetti differenti. Le vie e sostanze che c’interessano di più ai fini del discorso che stiamo facendo sono tre: il sistema della (nor)adrenalina, “adrenergico”, quello dell’acetilcolina, “colinergico”, e quello della dopamina, “dopaminergico”. Tutte queste vie originano nella parte più bassa dell’encefalo e risalgono verso la corteccia con varie stazioni intermedie. Ciascuno di questi tre sistemi fa diverse cose, ma ai fini degli effetti nootropi e in estrema sintesi possiamo dire che il sistema adrenergico promuove vigilanza, attenzione e concentrazione; quello colinergico interviene nella memoria; e quello dopaminergico genera la “spinta”, l’”energia” a fare ed a pensare.
Sistema noradrenergico centrale:
Sistema colinergico centrale:
Sistema dopaminergico centrale:
La manipolazione farmacologica dei sistemi adrenergico e colinergico centrali è praticamente inesistente. Come già accennato, noradrenalina e acetilcolina sono i neurotrasmettitori del sistema nervoso periferico, ed i farmaci che vanno a stimolare i recettori di queste due sostanze non possono evitare di avere effetti periferici pesanti: per la noradrenalina soprattutto tachicardia, ipertensione arteriosa, tremori; per l’acetilcolina diarrea, coliche, sudorazione, disturbi della visione, irritabilità. Il risultato è che di fatto non esistono farmaci per il sistema nervoso centrale basati su queste due sostanze. Con un’unica importante eccezione: i farmaci colinergici anti-alzheimer. Questi tentano di migliorare le funzioni di memoria, notoriamente compromesse nella demenza di Alzheimer. Vi sono però parecchi problemi: 1) la compromissione della memoria è solo una delle compromissioni nell’Alzheimer; 2) l’effetto benefico dei farmaci è solo sulla memoria, ed è molto piccolo e transitorio; 3) i farmaci non fermano né rallentano la progressione dell’Alzheimer; 4) i detti effetti collaterali. In definitiva questi farmaci sono prescritti solo perché non abbiamo di meglio, solo se nella specifica persona gli effetti collaterali risultano tollerabili, e solo se alla prova dei fatti i benefici superano i fastidi. Se tutto questo li rende appena accettabili nel trattamento di una condizione disperata come l’Alzheimer possiamo immaginare quanto poco siano desiderabili come nootropi.
Il terzo sistema, quello dopaminergico, è quello ove abbiamo le maggiori possibilità d’intervento. Come abbiamo detto, le vie dopaminergiche sono quelle che generano l’“energia” a fare ed a pensare. Stimolare questo sistema ha effetti attivanti-euforizzanti-maniacali, inibirlo ha effetti rallentanti-depressivi. È qui che agiscono la cocaina, le amfetamine e le droghe da esse derivate, gli antiparkinson, certi antidepressivi, e il modafinil (quest’ultimo potrebbe avere anche un debole e incerto effetto sul sistema adrenergico). Alcune di queste sostanze agiscono soprattutto su certi sotto-sistemi del sistema, ad es. gli antiparkinsoniani agiscono soprattutto sul sotto-sistema "nigro-striatale", che è quello che dà la spinta a muoversi; gli antidepressivi sul sotto-sistema "meso-corticale", quello che dà la spinta a pensare. Nello stimolare questo sistema vi sono due ordini di problemi: 1) stimolarlo troppo, anche senza arrivare a effetti tossici (che includono allucinazioni, deliri e psicosi), aumenta l’attività ma anche gli errori, per cui non si ottiene un reale miglioramento delle prestazioni; 2) alcune “stazioni” di questo sistema (in particolare del sotto-sistema "meso-limbico") sviluppano addizione alla stimolazione e quindi dipendenza dalla sostanza, anche in assenza di una sindrome fisica da deprivazione (com’è invece per la dipendenza da oppioidi). Il risultato complessivo è che la maggior parte di queste sostanze è stata ritirata dall’uso farmaceutico. Restano gli antiparkinson, certi antidepressivi, e il modafinil, con indicazioni ristrette e non come nootropi. Due di queste sostanze possono avere effetti effettivamente (scusandomi nuovamente per il bisticcio) nootropi, ma consentitemi di non rivelarle: per un uso off-label quale quello di cui parliamo è doppiamente importante che sia uno specialista esperto a valutare i pro e i contro e a dirigere il trattamento, e non ritengo l’obbligatorietà di ricetta medica garanzia sufficiente contro un uso fai-da-te potenzialmente deleterio. Spero di aver mostrato che gli effetti nootropi sono inferiori ai possibili rischi e fastidi, soprattutto in assenza di alterazioni patologiche delle funzioni cognitive. Insomma non è roba da studenti che vogliono migliorare i loro risultati scolastici.