EDITORIALI

Editoriale - Maggio 2013

La forza sta nell’accettare la debolezza.

 

 

Sant’Agostino dice che l’unica certezza della vita è la morte: è il paradosso più grande che esista. Che lo si accetti o no, l’unica grande certezza connessa al vivere è il morire. In questi giorni di primavera dove tutto fiorisce tra lo splendido alternarsi di sole e pioggia i nostri ritmi caotici ci portano a desiderare la stabilità, la costanza del tempo, che il sole rimanga lì senza scaldarci troppo e che le nuvole non portino troppo fresco o fastidiosi scrosci di acqua. Vogliamo piegare il tempo ai nostri capricci invece che piegare i nostri capricci al tempo.

 

Perché? Perché forte è la pretesa di poter comandare tutto, di essere padroni della nostra vita, di poter maledire chi ci pare e benedire ciò che ci fa comodo. Il tempo da millenni ha regolato la nostra vita, i nostri ritmi lavorativi, i nostri raccolti, la nostra alimentazione; moderava le nostre pretese e ci ricordava la nostra pochezza, il nostro dipendere da una realtà ben più grande di noi. I nostri desideri sono nobili se sanno chinarsi dalla pretesa alla preghiera; ciò che ci rende nobili, da un punto di vista psicologico, è la capacità di pretendere il meno possibile per saper accettare il più possibile. Il tutto della vita che si apre al nulla della morte.

 

Non in senso metafisico: al di là delle proprie concezioni religiose la morte rimane la svuotamento da tutto ciò di cui ci siamo voluti riempire, da tutto ciò a cui ci siamo attaccati. Come medico rimango assai perplesso di fronte ai due grandi mali che affliggono la nostra società: l’aborto e l’eutanasia. Persone che non sanno accettare la morte la vogliono proporre dove può passare mascherata come diritto di civiltà. Eppure: nessuno potrà non morire. La morte al di là di tutto rimane l’unica certezza che umanamente abbiamo.

 

Quello che rimane a noi è la possibilità di poter amare, non decidere chi può vivere e chi può morire. Psicologicamente, non accettare la sofferenza equivale a non accettare la felicità. Parliamo dei diritti dei disabili e vogliamo creare una società senza disabili. Non è un controsenso? Chi difenderà chi è già disabile se chiediamo leggi che escludano persone deboli? Creare una razza perfetta è già stata una strada imboccata dall’umanità con esiti drammatici. Solo la forza che accetta la debolezza è realmente tale. Tutto il resto è misera potenza, ideale di pura e semplice masturbazione.

Editoriale - Aprile 2013

L’importanza dell’informazione.

 

C’è un grande confronto su energia, materia, forma e info rmazione. Le connessioni tra materia ed energia sono, almeno nei tratti generali, abbastanza conosciute. Ogni corpo possiede un’energia che viene classicamente caratterizzata in diverse tipologie (gravitazionale, elettrica, nucleare, chimica, cinetica, ecc…).

 

Quando vediamo purtroppo gli effetti devastanti di una frana o di una valanga (visto la stagione usiamo particolare prudenza sui monti innevati) non facciamo altro che vedere la liberazione di una grande quantità di energia che viene rilasciata per effetto di squilibri tra forze statiche e dinamiche con prevalenza di queste ultime. In questo sistema l’info rmazione può giocare un ruolo nel prevenire o nel favorire tale squilibrio.

 

L’info rmazione può permetterci di intervenire sul sistema. L’informazione non è energia, ma flusso di dati che può permettere di convogliare l’energia secondo fini desiderati. L’info rmazione incanala l’energia ma non è capace né di aumentarla né di diminuirla. In assenza di fini desiderati (ossia di coscienza), l’info rmazione nell’universo non esiste, mentre l’energia esiste indipendentemente dalla coscienza. Da un punto di vista naturale, l’energia non necessita di coscienza mentre l’info rmazione si.

 

L’info rmazione per questo motivo è caratteristica specifica dei viventi, che elaborano dati e incanalano le energie dell’universo. L’energia è data, l’info rmazione è generata. L’energia è modulata se l’info rmazione è gestita. Viceversa l'energia viene emessa secondo equilibri e squilibri di forze.

 

Nella società, negli individui, nelle cellule è fondamentale il corretto flusso delle info rmazioni; il passaggio di info rmazioni non è sempre utile. Cellule specializzate ricevono info rmazioni specifiche per il loro funzionamento: è una regola base degli elementi pluricellulari. La dispersione così come l’eccesso di info rmazioni generano variazioni di energia spesso nocive. Solo flussi adeguati di info rmazione regolano le energie dei sistemi in maniera utile.

 

Questo ci deve far riflettere nell’organizzazione della nostra vita e della nostra società, al di là di ogni nostra pretesa di verità e di esigenza di cronaca.

Editoriale - Marzo 2013

L’obolo dei farmaci

 

 Cos’è un farmaco? Etimologicamente ha radici antiche. La parola greca pharmakon da cui è derivato il pharmacum latino ha un significato ambivalente che sta sia per cura o rimedio sia per veleno. Farmaco è un nome composto da due termini egiziani: fahre, che sta per veleno, e mak che sta per cura. Quindi un farmaco è un veleno capace di curare.

 

 

Spesso nella storia della medicina emerge che l’attività del farmaco (buona o cattiva) fosse solo questione di dosaggi: se giusti si hanno dei benefici, se eccessivi si hanno dei danni. In questo senso qualsiasi cosa (alimenti, bevande, abitudini, comportamenti, ecc…) può essere un farmaco. Il concetto antico del farmaco ci riporta alla prospettiva umana della medicina, spesso tacciata dopo il positivismo di ignoranza e superstizione. Ossia il farmaco, veleno correttamente somministrato, doveva essere prescritto (e quindi non più proscritto come al sano) ad una persona malata da una persona esperta e competente in quella malattia. La base relazionale era fondamentale e contribuiva alla guarigione del paziente.

 

Oggi l’industria farmaceutica che sottostà alla ricerca scientifica (sia in medicina tradizionale che alternativa) tende a screditare tali effetti benefici come “effetto placebo”. Questo può avere un effetto nocivo sulla formazione accademica degli operatori sanitari, medici in primis, perché vengono portati a svalutare il ruolo cardine della relazione medico-paziente a favore della “potenza” del farmaco. Ciò che conta diventa avere un farmaco potente e il paziente diventa un semplice oggetto da trattare.

Certo, anche molti pazienti, in maniera più o meno conscia, desiderano solo una pillola, una bustina o una puntura che possa rimetterli in sesto cercando di evitare di fare un passo al di là della chimica delle cellule.

 

Alla fin fine, l’idea di essere solo delle macchine accarezza sempre i nostri istinti di de-responsabilizzazione. Ma, guardate un po’, rimaniamo comunque delle macchine speciali che sanno vedere la storia e, prima o poi, riconoscere errori e virtù degli uomini di ieri e di oggi.

Editoriale - Febbraio 2013

Vaccini: amici o nemici?


 

Sono passati più di 200 anni da quando Edward Jenner testò il materiale infetto prodotto dalle vacche colpite da cow-pox sui suoi giovani pazienti dimostrando la capacità di prevenire o rendere assai leggera la devastante infezione da small-pox, chiamata vaiolo, tipica della specie umana. Vaccino deriva proprio da vacca; il vaiolo vaccino (vaccino = delle vacche) era il vaiolo che colpiva le vacche e Jenner ebbe la meravigliosa intuizione di notare come i pastori che avevano avuto contatto con le vacche ammalate erano resistenti all’infezione del vaiolo. Con la somministrazione del vaiolo vaccino, nel giro di pochi anni i casi di vaiolo nel mondo anglosassone si ridussero del 90%. Questo fece si che Napoleone impose la “vaccinazione” come pratica obbligatoria alle sue armate con conseguente drastica riduzione del vaiolo.



I tempi non erano sospetti per intrighi e intrallazzi di case farmaceutiche: la semplice verità risiedeva nella sete connaturata dell’uomo di voler essere più forte degli altri (prima ancora della nazione nemica, il nemico degli eserciti era la malattia e la debolezza fisica). Perché dunque sorprendersi se nell’esercito non solo italiano, anche in tempi molto recenti, si somministravano super-vaccini? Ci scandalizzeremmo se coloro che devono affrontare il campo di battaglia facessero uso di psicostimolanti o droghe? Certo sì, se questi venissero forniti dal nostro portafoglio (ossia dallo Stato).



Sono leggi fondamentali del creato che qualsiasi cosa che ha un impatto notevole nel bene può avere effetti notevoli anche in male. La natura delle cose non ammette trucchi: si può morire di vaccinazione antinfluenzale così come di influenza. Chi ha avuto un figlio salvato dal vaccino antipolio benedice la vaccinazione, così come chi ha perso un figlio per lo stesso vaccino la maledice. Ma le politiche sanitarie sono cose diverse e purtroppo vanno oltre il bene individuale per poter avvicinarsi ad un bene sociale. Tuttavia dovrebbe rimanere sacrosanto un principio del diritto alla prevenzione e alla cura, non un obbligo imposto dalle Autorità. Uno Stato che obbliga alla vaccinazione obbliga ad un trattamento sanitario coercitivo e se ne deve assumere la piena responsabilità.



I vaccini sono grandi amici dell’umanità se usati nel rispetto della persona. Ma come si fa nel terzo millennio a pensare di vaccinare i bambini facendo file spesso in luoghi malsani, sale d’aspetto affollate di piccini, dove si prende un numero come se si stesse aspettando il proprio turno al banco della gastronomia? A quando la medicina basata sulla decenza?



Come dice un caro amico, gli atti osceni in luoghi pubblici sono condannati dal codice penale, ma gli atti pubblici in luoghi osceni ancora no, purtroppo…  

Editoriale - Gennaio 2013

Medicina - Iatrosofia - Antropologia - Psicologia

 

Medicina è una parola straordinaria le cui radici etimologiche sono antiche, latine, diverse dalla parola greca “iatréia”, più concreta, da cui è derivata la radice –iatrìa di molte discipline che compongono la medicina attuale (pediatria, psichiatria, ecc…). Altre discipline mediche hanno visto il prevalere invece del grande suffisso –logia, da “logos”, parola (nefrologia, cardiologia, ecc…). Quasi tutte queste discipline hanno visto la loro nascita con l’affermarsi del positivismo e il prodursi di branche di ricerca capaci di addentrarsi nello specifico di ciascun apparato.

 

Una grande eccezione è rappresentata da psichiatria e psicologia: qui cambia il suffisso per dare origine a due discipline che indagano la profondità dell’essere umano, l’origine del pensiero e dei comportamenti che ne derivano. La parola psicologia è più antica della parola psichiatria di qualche centinaio d’anni. Questo perché più andiamo nel passato più ci accorgiamo che l’amore per gli esseri umani era rivolto principalmente al logos, ossia alla parola.

 

E’ uno degli equivoci dell’epoca moderna pensare che il trattamento psicologico basato sul discorso, sulla relazione verbale, sia frutto principalmente di Freud e dei suoi allievi. Certo fu ripreso da questi dopo che la psichiatria, con i suoi estremi, talvolta cruenti, tentativi di agire sul comportamento umano aveva assunto un aspetto tetro e alienante analogo a quello dei nosocomi dove i malati di mente venivano arginati.

 

Ma il logos è la più antica terapia esistente; da qui ha preso origine in epoca moderna la disciplina chiamata “logoterapia”, fondata quasi di pari passo alla psicanalisi di Freud da un altro grande neurologo austriaco di cognome Frankl. E la radice della disciplina per lui è più chiara; la psicologia ha qualche cosa che inevitabilmente ha a che fare con la ricerca di senso nell’uomo e nella vita.

 

Come non auspicare quindi una iatrosofia, una medicina saggia, che ritrovi il senso del suo operare al servizio dell'umanità in una visione antropologica capace di rispettare ogni essere umano?

Editoriale - Buon Natale e Felice 2013 !

Dinamiche dominanti - Dinamiche devianti


Fin dalle prime testimonianze della vita dell'uomo sulla Terra, la lotta costituisce un tema costante: lotta per la sopravvivenza, lotta per il cibo, lotta fra tribù, lotta per la supremazia, lotta di classe, lotta di partito, lotta di religione, e così via... Questo aveva indubbiamente conseguenze sociali di equilibrio. Gli individui e i gruppi più forti imponevano il loro dominio sugli altri finché qualcun'altro più potente, più scaltro, più abile prendeva il bastone del comando.


Difficilmente, pur nelle diversità, non gli veniva riconosciuto il suo valore, in un certo senso “la sua superiorità”. Un motto, fra tanti, accomuna la storia dei popoli e dei regni sia di Occidente che di Oriente: “il valore di un uomo lo calcoli dal numero dei nemici”. E’ nella storia delle civiltà che la lotta per la supremazia non è mai stata abbandonata.


Ma forse un tempo, quando sopravvivere era più difficile di oggi, quando le vere crisi mietevano in pochi mesi milioni di vittime e si ringraziava Dio per un pasto al giorno, era davvero da eroi avere dei nemici. Se non ci si univa non si sopravviveva. Sopravvivere tra nemici era il segno più grande che conferiva l’investitura per poter dirigere popoli e nazioni.


Lo vediamo anche oggi in politica, dove la lotta per l'egemonia sembra ricalcare quella del passato, solo con l'ipocrisia dei perbenisti, di coloro che si sacrificano per il bene del Paese. Piuttosto che guardare al bene dei cittadini, si perde tempo a cercare improbabili coalizioni per poter gloriarsi di effimere vittorie. L’ipocrisia mascherata da diplomazia preferisce falsi amici a veri nemici. Ma non sono in fin dei conti specchio delle nostre contese e dei nostri capricci? Del nostro fragile essere che ha bisogno del consenso degli altri per potersi reggere?


Ebbene, a Natale, che piaccia o no, che si creda o meno, Dio ha scelto una strada diversa. Lui, che regge l’Universo o il Multiverso, si è umiliato a nascere in una mangiatoia. Se sapessimo prendere esempio da Lui, non stimeremmo un po' di più i nostri avversari abbassando noi stessi per esaltare gli altri?


Questa é la logica di Dio, di chi non teme di farsi piccolo per far grande l’essere umano. Chi dei nostri aspiranti governatori è in grado di affermare: “governa tu, collega, che farai senz'altro meglio di me”?


Non dobbiamo avere paura di rimanere estasiati da ciò che Cristo ci insegna, la vera dinamica che dona senso all'Universo: ama il prossimo tuo come te stesso. Tu ed io siamo una cosa sola. La tua ferita é la mia ferita, il tuo sorriso il mio sorriso, le tue lacrime le mie lacrime.


Che il Bambinello possa aprire il cuore nostro e dei nostri governanti, sia qui che in Europa, per riconoscere le radici cristiane della vita che altro non sono che l'esaltazione del prossimo, la sua deificazione, poiché Egli ha tanto amato il mondo da morire a Sè stesso.

Editoriale - Dicembre 2012

Homo sapiens sapiens - Homo sapiens pharmacologicus - Homo sapiens cyberneticus


Vediamo la storia procedere con un ritmo poetico e libero, tra tragedie e vittorie, al di là di tutti i nostri successi ed errori, le nostre conquiste e incapacità, i nostri miti e i nostri mostri. Vediamo la storia procedere come un libro, in parte scritto e in parte da scrivere. Vediamo la storia seguire un filo sottile e fragile ma che non si è mai spezzato, a volte ingarbugliato a volte lineare, a volte scuro altre volte chiaro. In questo dispiegarsi del tempo l'uomo, che lo voglia o no, é signore, é custode, é responsabile, é tutore, é centro morale del cosmo nei limiti di un potere che gli viene concesso con sapienza nelle varie epoche. Ed é insito nella natura umana tendere sempre ad un fine, lavorare per uno scopo, faticare per un risultato.

 

La relazione dell'uomo con l’ambiente é speciale: l’uomo è l’unico animale che cucina i cibi, li cuoce, li trasforma attivamente per dar loro nuove proprietà. Da tempi remoti l’umanità ha cercato di adattarsi all’ambiente con i mezzi a disposizione. Le api fanno il miele e non possono fare la cioccolata; l'uomo é capace in laboratorio di fare l'uno e l'altra: tutto si riduce ad un problema di utilità e di costi. Le api fanno bene il miele e all'uomo conviene che continuino a farlo loro. In tal modo può così dedicarsi a fare altro. Ha così prodotto sofisticati farmaci e cibi, comodità e tecnologie. Facendo questo ha pesantemente influito sul proprio essere: molti degli esseri umani che ci sono oggi forse non sarebbero riusciti a sopravvivere che qualche mese o pochi anni se fossero nati poche centinaia o addirittura decine d'anni fa.

 

Gli esseri umani non si sono adattati all'ambiente ma hanno sottomesso l'ambiente a loro stessi; la selezione naturale é stata invertita e, invece che selezionare individui più forti, é stato reso possibile ai più deboli di sopravvivere.

Io probabilmente non sarei qui se non fossi nato nell'era degli antibiotici... Tutto il resto, pensateci, viene da sé...

É forse, a questo punto, l'uomo stesso l'evoluzione?

Novembre 2012 - Paura di vivere/paura di morire

Novembre è il mese delle contraddizioni: mentre la natura si addormenta o muore, allo stesso tempo si riveste dei colori più caldi dell’anno, che richiamano le stesse tonalità del fuoco dei camini, e dei profumi più appetitosi di tutte le stagioni con l’odore tipico delle caldarroste, dei funghi, della polenta, dei bolliti e dei vini che li accompagnano.


E’ il mese che ci richiama alla vita ponendoci davanti la caducità delle cose. Ricorre non a caso in questo periodo la festività dei santi e il caro ricordo dei defunti, il richiamo alla perfezione di ciò che solo apparentemente muore per poter poi riprendere vita. Le prime nevi che coprono colline e monti non distruggono, ma donano quella fresca umidità attraverso cui la vita potrà rinascere.


In tutto questo meraviglioso miracolo che si ripete ogni anno possiamo trovare l’invito al senso del nostro esistere, un senso che non si fonda sul calcolo degli affetti, sui bilanci finanziari, sull’illusione di dominare gli eventi.


Miracolo regolato da una Sapienza che va ben oltre i nostri calcoli e i nostri difetti, ma che sa comunque accoglierli per trasformarli in nuove prospettive e in nuovi orizzonti. Solo la vita che non sa accogliere la morte rischia di diventare una vita arida; solo la morte che non trova spazio nella vita rischia di non avere senso.